La malattia dell’Alzheimer può manifestare i primi segnali di insorgenza fino a 18 anni prima rispetto al momento in cui la stessa viene diagnosticata.
A dimostrarlo, come riporta il quotidiano Repubblica, è stato uno studio cinese pubblicato su The New England Journal of Medicine. Nella ricerca si evidenzia che la malattia si affaccia nella nostra vita prima della vecchiaia, quando avviene una variazione nella concentrazione di determinate proteine (placche di beta amiloide e grovigli di proteina tau) e le alterazioni nel tessuto cerebrale compaiono in sequenza e a tappe definite, fino a sfociare nella condizione patologica.
Entrando più nello specifico, gli scienziati cinesi hanno condotto un’indagine tra gennaio 2000 e dicembre 2020 prendendo come campione migliaia di partecipanti. Questi ultimi, tra cui uomini e donne sia di mezza età che anziani con uno stato cognitivo normale, sono stati sottoposti a degli esami regolari, ovvero sono stati coinvolti a delle scansioni cerebrali con la valutazione della funzione cognitiva attraverso dei test standardizzati e dai risultati sono emersi diversi segnali.
Il segnale più precoce a emergere è stato un aumento nella concentrazione della proteina beta-amiloide 42 nel liquido cerebrospinale (o cefalorachidiano), già rilevabile 18 anni prima della diagnosi di Alzheimer. A 14 anni dalla diagnosi è stata invece rilevata una differenza nel rapporto tra beta-amiloide 42 e beta-amioide 40, due forme di proteine “appiccicose”, il cui accumulo nel sistema nervoso è tipicamente associato alla neurodegenerazione. A 11 anni i ricercatori hanno osservato un incremento della proteina tau 181 fosforilata nel gruppo Alzheimer, mentre a 10 anni l’incremento riguardava la tau nel suo complesso. A 9 anni sono stati rilevati i primi segnali del danno neuronale, determinato dalla presenza della catena leggera del neurofilamento (NfL) nel liquido cerebrospinale, che riguarda in particolar modo gli assoni. A 8 anni le risonanze magnetiche hanno evidenziato nel gruppo Alzheimer l’atrofia dell’ippocampo, una parte del cervello coinvolta nella cognizione. A 6 anni dalla diagnosi, infine, risultava evidente il declino cognitivo attraverso i test standardizzati per valutare la demenza.
Insomma, lo studio conferma quanto detto. A confermare i dati dello studio cinese è anche il professor Paolo Maria Rossini, responsabile del Dipartimento di Scienze neurologiche e riabilitative dell’Irccs San Raffaele di Roma che ha affermato: “In realtà le conclusioni dello studio confermano molte informazioni note da tempo, e cioè che l’accumulo di un metabolita di beta-amiloide, che non è solubile e tende a formare frammenti che poi si depositano in placche, avviene in un periodo compreso tra 18 e 14 anni prima dell’esordio dei sintomi. Conferma anche il fatto che la presenza di metabolita della proteina tau, che poi porta alla formazione di grovigli neurofibrillari dentro i neuroni, compare circa 11 anni prima dell’esordio clinico e che i segni di morte neuronale appaiono circa 9 anni prima”.